Bentornati lettori e lettrici nel numero di aprile di Evoluta. Le temperature dei mari sono sempre più calde e fanno registrare costantemente nuovi record. Secondo i dati della Noaa (National oceanic and atmospheric administration – l’agenzia statunitense per gli oceani e il clima) la temperatura media globale giornaliera della superficie marina ha raggiunto i 21,2°C, superando di 0,1°C il record del 2023. Ma per le specie animali che conseguenze ci sono? Il cambiamento delle condizioni ambientali può essere devastante e in questo nuovo episodio parliamo proprio di come le diverse specie stanno affrontando il riscaldamento globale.
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Un episodio dedicato al mondo marino, ma parleremo anche di editing genetico che potrebbe salvare le specie animali senza conoscere le conseguenze; di specie che forse non si sono estinte e di altre che potrebbero cambiare la storia dell’allevamento. Non anticipiamo altro e tuffiamoci in questo nuovo episodio, buona lettura. |
Di cosa parliamo in questo numero |
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Il più grande evento di sbiancamento dei coralli è in corso
I primi che pagano le conseguenze dell’aumento delle temperature marine sono i coralli. Gli scienziati hanno appena annunciato il quarto (negli ultimi 30 anni e secondo negli ultimi 10) evento globale di sbiancamento di massa dei coralli, che sta colpendo le barriere coralline dei principali oceani, Atlantico, Pacifico e Indiano. Con tutta probabilità sarà il più esteso e grave mai registrato, attualmente ha coinvolto il 54 per cento delle barriere coralline, ma la percentuale cresce giorno dopo giorno.
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Lo sbiancamento dei coralli è un fenomeno legato all’aumento della temperatura (o dall’inquinamento) dell’acqua che provoca una situazione di stress nell’animale, il quale espelle le alghe fotosintetiche (zooxantelle) presenti al suo interno che gli forniscono energia, ossigeno e appunto il colore. Tuttavia, da un evento di sbiancamento i coralli – con le giuste condizioni – possono riprendersi, ma se l’acqua che li circonda rimane troppo calda, per troppo tempo, muoiono.
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Questo è un fenomeno comune e si chiama upwelling, ovvero una risalita di acque profonde e fredde che va a rimpiazzare le acque superficiali calde trascinate a largo dal vento. Tuttavia, nel 2021 a causa di un evento estremo di upwelling lungo la costa del Sud Africa morirono 260 organismi marini di 81 specie diverse, tra cui gli squali toro (Carcharias taurus). Grazie proprio ad uno squalo toro, monitorato e sopravvissuto, è stato possibile osservare che quelle acque scesero al di sotto di più di 10°C rispetto a quelle a cui sono abituati. Secondo gli scienziati l’aumento della frequenza e dell’intensità delle risalite, potrebbe far aumentare la vulnerabilità delle specie migratorie come gli squali toro.
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Diversi problemi legati all’aumento delle temperature
Secondo un recente studio lo stress termico, dovuto dall’aumento della temperatura dell’acqua, potrebbe causare cecità e significativi problemi per la sopravvivenza dei polpi. Il motivo principale è che la vista ricopre un ruolo cruciale sia per la comunicazione che per il rilevamento di prede e predatori. Inoltre, questo stress fisico andrebbe ad intaccare anche la fertilità delle madri, infatti è stato osservato che a determinate temperature le uova non si schiudono ed è stato registrato un aumento del tasso di morti premature di madri gravide.
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Tuttavia, bisogna sottolineare che questi risultati sono stati ottenuti esponendo i polpi alla temperatura di 25°C, simulando quella prevista per il 2100. Quando i polpi sono stati esposti alle temperature di controllo di 19-21°C non è stato registrato stress. Si può comunque affermare che anche animali super adattabili come i polpi potrebbero non essere in grado di sopravvivere ai futuri cambiamenti climatici.
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Quanta vita sotto il mare
A gennaio un team scientifico ha esplorato la catena montuosa sottomarina Salas y Gómez, al largo del Cile, fino all’isola di Pasqua: una zona ricca di biodiversità che potrebbe diventare area protetta. Sulle 160 specie che non erano mai state osservate nella zona, almeno 50 sarebbero ancora sconosciute alla scienza. I ricercatori hanno avvistato anche un Leptoseris, comunemente noto come corallo rugoso: l’animale dipendente dalla fotosintesi più in profondità mai trovato.
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Cambiare il Dna delle specie per salvarle
In Australia, patria della biodiversità e delle stranezze animali, gli scienziati stanno cercando un modo per salvare le loro uniche specie, minacciate e portate sull’orlo dell’estinzione, dalle specie invasive, dal degrado degli habitat e dai cambiamenti climatici. Come? Attraverso interventi genetici come l’incrocio e la modifica genetica, in modo da conferire tratti che favoriscano la sopravvivenza.
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Anche se gli scienziati sperano che l'aumento della diversità genetica possa rendere le popolazioni più resilienti, ci sono preoccupazioni riguardo alle possibili conseguenze non intenzionali. Ad esempio, una variante genetica che aiuta le rane a sopravvivere a una malattia potrebbe renderle più suscettibili ad altri problemi di salute. Inoltre, si sollevano diverse critiche etiche e morali. Che sia l’unico modo per recuperare l’irrecuperabile?
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Quando si riconosce una specie come persona giuridica non significa che diventa umana, ma le si conferiscono determinati diritti legali: per esempio, chi la danneggia è tenuto a pagare le conseguenze. La legislazione firmata si basa su tre pilastri: monitoraggio, sanzioni e assicurazione per le balene. Il valore di una balena monitorata potrebbe arrivare a circa 2 milioni di dollari. Per questo motivo le compagnie assicurative richiederebbero alle navi di essere dotate di dispositivi di monitoraggio anti-collisione per ridurre le probabilità di impatto.
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Rondini e allevatori, storia di un legame antico che fa bene a tutti
Uno studio italiano ha certificato l’importanza delle rondini nel controllo delle mosche nocive negli allevamenti di bovini. La ricerca ha studiato, in particolare, il ruolo ecologico delle rondini negli allevamenti bovini della val di Non, in Trentino, per comprendere l’effetto che la presenza degli uccelli può avere sul tasso di attività delle mosche, loro potenziali prede e vettori di numerosi patogeni e fonte di stress per il bestiame allevato.
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I virus dell’influenza aviaria si diffondono normalmente tra gli uccelli, ma il numero crescente di rilevamenti dell’influenza aviaria H5N1 tra mammiferi, tra cui delfini, foche del Caspio, orsi grizzly, lontre, visoni, volpi e, di recente, persino un orso polare, per un totale di 345 specie di uccelli e mammiferi, solleva la preoccupazione che possa adattarsi per infettare più facilmente gli esseri umani. A dimostrazione, ancora una volta, come tutto sia estremamente connesso e come la salute del Pianeta influenzi quella di tutte le specie che lo abitano.
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La tigre di Giava esiste ancora
Tra modifiche genetiche, Dna, tentativi di salvataggio e protezione di specie, c’è chi ha fatto il suo ritorno sulla scena senza l’aiuto di niente e nessuno. Nel 2019, Ripi Fajar, un biologo, e i suoi amici durante una passeggiata videro un grosso felino che vagava per una piantagione a Sukabumi, nella provincia di Giava Occidentale. Che si trattava di una Tigre di Giava (Panthera tigris sondaica), una sottospecie ritenuta estinta negli anni '80 ma dichiarata ufficialmente tale solo nel 2008?
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Grazie a un ciuffo di pelliccia impigliato in una recinzione è stato possibile studiare il Dna di questo esemplare. Dopo aver analizzato il campione, i risultati hanno mostrato che il Dna raccolto coincide per il 97,8 per cento con il Dna della tigre di Giava (raccolto in una GenBank). La tigre quindi esiste ancora allo stato selvatico, ora la cosa più importante sono i primi passi per la sua protezione.
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Una storia di cambiamento: mucche sostituite dai dromedari
Concludiamo questa newsletter con un’incredibile racconto di cambiamento dal Washington post.
In Kenya dopo tre anni di siccità i pascoli si sono ridotti, le fonti d’acqua si sono prosciugate ed è scomparso l’80 per cento della mucche. Proprio le mucche in queste zone sono state per secoli l’animale più importante, fondamento di economie, diete e tradizioni. Ma ora i mezzi di sussistenza sono stati distrutti, milioni di persone si devono adattare ai cambiamenti climatici. L’adattamento, o cambiamento, ha un solo principale autore: il dromedario. Negli ultimi 20 anni la sua popolazione è raddoppiata, molto probabilmente perché questo animale è più forte dei cambiamenti climatici. Per questo motivo è stato avviato un programma di distribuzione di dromedari, al momento 4 mila, in diverse zone dipendenti dal bestiame che, purtroppo, han visto scomparire. Un cappello con dei numeri all’interno. Un’estrazione casuale. Un dromedario da portare a casa. Così sono stati distribuiti i dromedari ai più “meritevoli”, coloro che avevano le storie più drammatiche di perdite di bestiame, coloro che sicuramente avrebbero usato il dromedario per il suo latte e non per la sua carne. Una folla riunita attorno ad un recinto pieno di dromedari, un recinto contenente il futuro.
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Perché il dromedario è meglio della mucca? Ha bisogno di meno cibo per produrre latte, ha bisogno di meno acqua e le sue emissioni di CO2 sono sostanzialmente più ridotte. Ma non solo: il dromedario è l’animale “costruito” per sopravvivere alla siccità. Può resistere fino a due settimane senza acqua (la mucca un paio di giorni). Può perdere il 30 per cento del suo peso e sopravvivere (una delle soglie più alte del mondo animale). Può regolare la sua temperatura in base al clima e mantenersi fresco (con diversi stratagemmi). Può sostituire le mucche? Sì, perché la gente sta seguendo l’andamento della siccità e preferisce i dromedari, e poi perché: la mucca è il primo animale a morire in caso di siccità; il dromedario è l'ultimo.
Con un’aria di cambiamento e speranza ci lasciamo per ritrovarci al prossimo numero. |
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